giovedì 20 giugno 2013

SUPERUOMO




Ti ho lasciato in una mattina piena di sole, finalmente calda, finalmente estate. 
Sei salito su un pullman con tanti amici, tanti zaini, tanti bruschi saluti per nascondere che in fondo con la mamma ci state ancora bene.
Ti sei lasciato baciare, e va beh, anche fotografare, tanto ormai ti sei rassegnato al mio strano vizio.
E poi ci hai tempestato di telefonate, scroccate al povero Michi, per dirci che ti divertivi, che eri sfortunato, che avevi vinto, che avevi perso, che non volevi andare in discoteca, che avevi visto una partita. 
Sei stato portato a pranzo dal Nonnolu che forse ancora odorava di salsedine.
Hai fatto la valigia con due giorni di anticipo, perché volevi organizzarti. Hai detto che l'anno prossimo non ci tornerai, ma lo dici ogni anno.
E poi la sera dell'ultimo giorno hai anche detto che ti eri fatto male a un polso, che ti aveva visto la dottoressa, che andava in giro con un cane e gli occhiali da sole, che non era niente, che poi passava.
E' arrivata la sera del ritorno, l'aria era ancora calda, ma punteggiata di stelle e zanzare. Era tardi.
Ti ho visto ancora sul pullman, il cappellino bianco di sbieco e la felpa blu. Ti ho visto scendere le scale, il sorriso emozionato e gli occhi stanchi. E il braccio, leggermente sollevato, con la mano che non voleva stare distesa e il pugno che non potevi serrare.
Ma mi sei venuto vicino, ancora ti sei lasciato baciare, e hai continuato a scherzare con gli amici. Ma nascosto in fondo al sorriso io già lo vedevo il pianto e la sentivo la tua voce che sotto sotto tremava.
Ed è bastato il buio della macchina, il profumo della mamma e il muro che ti sorreggeva è venuto giù di botto, e hai cominciato a piangere.
A casa ti ho tolto la felpa e quel braccio mi è piaciuto ancor meno. Pensavo di medicarti, di darti una tachipirina e portarti al pronto soccorso con il sole negli occhi. Ma tu dopo sei ore di viaggio hai voluto provare l'ebbrezza di una visita notturna e così siamo andati a scattare qualche foto alle tue ossa, che sono parecchio esibizioniste. 
Azzurra la sala d'attesa, azzurri i miei pantaloni su cui hai appoggiato la testa. Azzurri gli occhi e luminose le lacrime che piano cadevano giù. Dorato il collo e la guancia che ancora si curva morbida, perché sei il mio bambino.
Ma la notte gli ortopedici pare dormano e così siamo dovuti tornare la mattina per guadagnarci il sospirato gesso.
E sì perché alla fin della fiera tu il braccio te lo sei rotto davvero, e te ne sei stato un giorno intero senza dire niente.
A casa ti saresti appeso alle tende e avrei potuto vendere biglietti per assistere al tuo show.
Ma pare che questo campus tiri fuori il super uomo che è in te, come quando due anni fa ti eri fatto un giorno con 40 di febbre da solo in una camera d'albergo senza battere ciglio. Che se fossi stato a casa mi ti saresti spalmato addosso e non avrei potuto fare neanche pipì.
E io sono terribilmente fiera di te, sollevata che sai andartene in giro per il mondo, a testa alta e sicuro. Che sai affrontare i momenti belli ma anche quelli brutti. Vorrei però imparassi a mediare il super uomo e la super cozza. Vorrei non sentirti più dire che non volevi lamentarti, perché forse non era niente. Vorrei tu imparassi a non aver paura di chiedere aiuto perché anche questa è una virtù da super uomo.
E soprattutto non vorrei più vederti con un braccio al collo, soprattutto in partenza per il mare.
Giurin giuretta?





mercoledì 12 giugno 2013

UNDICI VOLTE TRENTA

Presa com'ero dal turbinio della fine della scuola e dalla miriade di altri compleanni, veri e finti, mi stavo dimenticando del mio!


Per fortuna ci sono le amiche, che in un campo da calcio pieno di margherite ti chiedono che programmi tu abbia per i festeggiamenti.
I

Per fortuna non si scompongono nel vedere nel tuo sguardo il vuoto pneumatico e un vago senso di terrore.


Per fortuna ci sono le amiche, che decidono di organizzarti a casa loro un piccolo party di compleanno. Addirittura il giorno prima per non dare troppo fastidio


E così ho passato l'ultima sera dei miei trenta in compagnia di amici cari, una luce che accarezzava le rose e un' aria che timidamente richiamava l'estate.




E non finisce qui perché le amiche non arrivano mai sole. E dopodomani quattro di loro prevedono di rapirmi per ben 24 ore.


Destinazione sconosciuta ed elenco valigia altamente improbabile.
Chissà cosa diavolo sarà dei miei quarant'anni nuovi di pacca...


Nel frattempo, grazie Tina!





E grazie anche a Francesca per avermi fatto vedere i quaranta sotto una nuova prospettiva numerica!

mercoledì 5 giugno 2013

SCUOLA DI CIRCO....ANCHE PER ME

Settimana scorsa c'è stato lo spettacolo di fine anno della scuola di Circo di Patasgnaffa.
È passata una settimana e ancora non l'ho raccontato.
Perché sono qui inchiodata a una ruota che gira, con mille cose da fare, duemila che dovrei fare e tremila che vorrei fare.
Mi manca l'aria, e ho la stanchezza spalmata addosso come una crema stantia. 
Mi arrabbio con i bambini, ma in realtà è a me che rimprovero di non avere tempo ed energie per ognuno di loro.
So però che è solo un momento, lo sconforto lo vedo pendere dal calendario, dalla x che segna la fine della scuola.
Perché tutti i miei progetti potrebbero dover aspettare settembre, ma magari anche no. Magari riuscirò a ritagliarmi un po' di angolini per ritagliare un po' di stoffe. Anzi sarà così di sicuro.
E porterò i bambini al mare e forse a visitare qualche città.
Passeremo ore lente e appiccicose stretti stretti nella calura del dopopranzo.
E va già  un po' meglio, solo sfogandosi un po', rimettendo tutto, a fatica, in prospettiva, parlandone un po'.
Perché tutto può essere un equilibrio difficile, ma con l'esercizio puoi camminare anche su una gigantesca palla rossa. Puoi sfrecciare su un monociclo e fare passi da gigante, se solo hai il coraggio di salire sui trampoli.


Puoi ridere di gusto partendo da poco, quando ti attorni di persone belle, con voci e pensieri puliti.
Puoi cercare di tenere insieme tutti i tuoi impegni, facendoli volteggiare come palline, tenendoli in bilico come piattini cinesi, che girano veloci, non cadono e arrivano a destinazione.
Puoi arrampicarti in alto, facendoti forza, sentire l'aria più leggera, vedere tutto da un'altra angolazione e allora trovare il coraggio di metterti a volteggiare.
Puoi continuare a correre perché la musica si fa incalzante, ma riuscire lo stesso a superare con agilità gli ostacoli che ti trovi di fronte.
E quando sembra che tutto sia buio puoi sempre trovare delle luci colorate che stupiscano te e chi ti sta intorno. 


Tutto questo me lo ha ricordato lo spettacolo di Patasgnaffa. Uno spettacolo messo in piedi in un mese, da bambini entusiasti e insegnanti geniali.
È stato tutto perfetto. I bambini erano felici, emozionati ma sereni. E si vedeva. Non c'era nulla di sfarzoso, di ostentato o di volgare. Era tutto perfettamente misurato, non una nota stonata.
Sono stati tutti eccezionalmente bravi, io non riesco ancora a capacitarmi di come dei bambini, dei ragazzi possano essere in grado di fare certe cose.
Patasgnaffa era una delle più piccole, ma quella che è stato più difficile tenere lontana dalla ribalta. 
È una bestia da palcoscenico, ama profondamente essere ammirata, divertire, stupire, e non ha paura di nulla.
Si è arrampicata da sola sui tessuti e ha eseguito un paio di figure, una anche a testa in giù, con il sorriso sulle labbra e le gambe quasi diritte.
Un grazie davvero agli insegnanti del circo Clap. 
E una buona fine scuola a tutti voi.