mercoledì 28 gennaio 2015

AGGETTIVAMENTE BLOGGER

In questo mese ho letto almeno due post in cui blogger di professione raccontavano come fosse il loro lavoro. Non che dubitassi del fatto che fosse un lavoro a tempo pieno, ma è comunque stato istruttivo. Perché è evidente che io non sono una blogger, e il fatto che non guadagni una mazza non è assolutamente il dato più rilevante.
Non faccio la blogger per lavoro, diciamo però che "blogger" mi definisce come aggettivo. Tipo: sono bionda, impaziente, permalosa e blogger.
Perché ho un blog, e questo è lapalissiano.

Perché quando mi alzo la mattina controllo subito i social, come i fumatori che si fanno la prima sigaretta ancora sotto le lenzuola


Perché perseguito la mia famiglia raccontandone i fatti privati e puntandole addosso un obbiettivo ogni due per tre.


Perché punto l'obbiettivo verso ogni cosa che mi piace, instancabilmente, e da qui traggo altra ispirazione.



Perché amo i dettagli, vi sommergo le mura domestiche e mi soffermo a sognare su quelli che gli altri seminano nel mondo.



Perché guardo una casa da fuori e finisco per immaginarla dentro. Perché arredo anche le chiese che visito e metterei mani in ogni luogo in cui entro. Anche nei baracchini sulla spiaggia per esempio.
E a proposito di spiaggia, sono pienamente felice soprattutto se c'è wi-fi (che roba brutta eh?).


Perché anche facendo la spesa compro solo cose belle (non è vero! purtroppo), e fotografo la tavola dopo averla apparecchiata.



Perché compro lana colorata e sono felice.

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Perché scelgo stoffe così belle che talvolta non oso usarle.

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Perché la casa si popola di strane creature.

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Perché un rotolo della carta igienica in fondo è qualcosa di più.


Perché un tavolo non sempre è solo un tavolo.


Perché la colla e le caramelle possono anche andare d'accordo.


Perché tra i miei migliori amici ci sono il pennello e la carta vetrata, e raramente un mobile resta com'era.


Perché mi incanto davanti alla carta e con lei ricoprirei tutto, anche mia mamma (attenta!).


Perché spostare i mobili mi dà la carica...così tanto che sposto anche le stanze.


Perché dei piccoli rotoli di scotch mi fanno sorridere.


Perché per un compleanno ci metto più tempo a preparare la festa che a viverla davvero, ma penso anche sia questo il bello (non solo eh?).


Perché anche la Barbie ha i mobili dell'Ikea.


Perché ogni tanto qui sembra di essere su un set fotografico.



Perché cerco di fare tutto, anche se non sono capace, come ricamare.


Perché carnevale piace più a me che ai miei figli.


Perché amo sfogliare le riviste belle.


Perché mi perdo tra le stanze di Pinterst.



Perché porto scarpe che possono essere definite con un hastag e spesso me le fotografo.


Perché ho più di due pezzi Bräkig in casa.


Perché ho molti vestiti a righe.

Perché ho scritto questo papiropost e non ho dovuto fare neanche una foto, mi è bastato saccheggiare il mio profilo Instagram (seguimi, o tutti i tuoi scatti verranno sottoesposti!)

Perché sento il bisogno di condividere il bello di cui mi circondo, il bello che mi capita, ma anche i momenti più difficili, perché mi dà conforto.


Soprattutto questo, questo desiderio di condividere, di scrivere, che se avessi una tastiera collegata nel cervello scriverei molti più post.


Quindi sono bionda, impaziente, permalosa e blogger.

Se anche tu potresti scrivere sulla tua carta di identità "blogger" se non sotto la voce professione, in una voce sospesa tra l'altezza e il colore degli occhi, magari potresti anche aggiungerci CF style...guarda un po' qui!


venerdì 23 gennaio 2015

FALSO TELAIO

Siamo come barchette di carta in un oceano di stimoli, l'ho già detto, sì l'ho già detto.
Veniamo continuamente in contatto con immagini bellissime e perfette. Che ci invitano a entrare in mondi nuovi, che ci suggeriscono idee che dobbiamo correre a realizzare subito, che piantano semi dalla lenta fioritura.
È un bel po' che i molti profili Pinterest e Instagram che seguo propongono piccoli manufatti in telaio che vengono poi appesi al muro.


Una nuova moda, una delle tante, una che mi ha fatto torcere il naso. Però la lezione l'ho imparata anni fa quando avevo decretato che i pois fossero roba morta e sepolta. Già, ci avevo preso in pieno. Quindi ora torco il naso, ma evito di prendere posizioni definitive.
Questi piccoli arazzi in fondo erano potenziali bombe di lana colorata, insomma, qualcosa a cui pensare.


Però il telaio è fuori dalla mia portata, per ora, ancora non ho digerito il trauma di non aver capito le istruzioni di quello con cui fare i braccialetti che avevo da piccola. Seguire istruzioni precise e dettagliate non è nelle mie corde, e su questa cosa penso di poter prendere una posizione abbastanza definitiva.


Però aggirare gli ostacoli mi piace molto e mi sono ricordata di aver realizzato a Patasgurzo bebè un gilerino con un punto che si chiamava "tessuto", che aveva richiesto una quantità di lana esagerata e lo faceva sembrare un signorotto di campagna.
E così ho fatto un piccolo arazzo, a modo mio, e se devo essere sincera, inizio a prenderci gusto.
Come non sono brava a seguire le istruzioni non sono brava a darle, lo dimostra la scarsità di tutorial di questo blog. Ho pensato allora di spiegarvi il punto tessuto cercando qualche link sufficientemente esaustivo. Bene, da quel che ho capito mi sa che il punto che ho fatto non è il punto tessuto, però visto che funziona lo stesso vi dirò come ho fatto.


Ho messo un numero dispari di punti e ho iniziato a lavorare il primo punto a rovescio. Il successivo, che avrebbe dovuto essere un diritto come in una maglia riso, non l'ho lavorato e ho passato il filo sul retro del lavoro. Poi ho fatto un punto a rovescio e così via. Il ferro successivo ho saltato il primo punto, che avrebbe dovuto essere un rovescio passando il filo sul davanti del lavoro, e ho lavorato il secondo con un punto diritto...e così via, fino all'infinito e oltre.



mercoledì 14 gennaio 2015

LA NEVICATA DELL'85

Andavo alle medie, come fa Patasgurzo adesso. 
Una scuola un po' magica, di quelle che adesso non si trovano più. Sperimentali, si chiamavano, e noi eravamo cavie felici.
Io ero tra i pochi fortunati ad abitarci vicino, i miei compagni, la maggior parte, arrivavano dal centro della città, su un pullman arancione. Quante volte l'ho rincorso affannata perché ero in ritardo? probabilmente innumerevoli.
Altre volte ero più brava e riuscivo ad arrivare al grande cancello marrone a un passo di marcia più accettabile. Ma il grande cancello marrone era solo metà strada. La scuola era in mattoni rossi, con una torretta, e riposava placida al centro di un giardino all'italiana. Con cascatelle, labirinti in bosso e una grotta finta.
Ho una buona memoria, ma non ricordo da quanto nevicasse, immagino da un po', però chiudere le scuole era meno di moda. 
La mattina di neve ce n'era già tanta, anche se in quegli anni non era così strano. Lo spazzaneve oltre il cancello non entrava e per guadagnare la scuola avevi bisogno dell'attrezzatura da neve, che all'epoca voleva dire tre paia di calzettoni e stivali di gomma. 
Sotto una luce bianca e un silenzio ovattato la scuola si è riempita come sempre, il pullman arancione era arrivato.
Non mi ricordo se abbiamo fatto lezione, probabilmente sì anche se penso fosse impossibile non stare con gli occhi fuori dalla finestra a vedere quella lenta e inesorabile cascata lieve.
Alla fine della giornata, una di quelle lunghe, erano ormai le quattro del pomeriggio, però il pullman arancione a risalire su dalla città fino alla scuola proprio non ce l'ha fatta più. 
Non c'erano ancora i cellulari, tuttavia nessun ragazzo è rimasto nella neve, a pensarci adesso sembra quasi improbabile. Ma alla spicciolata i genitori si sono organizzati per il recupero dei loro figli. Nel frattempo però la scuola aveva chiuso, e chi non era ancora andato a scuola è venuto a casa con me.
La nevicata dell' 85 non la ricordo per la quantità di neve, ma per il playdate più affollato di sempre!


lunedì 12 gennaio 2015

ZOO

Ci sono cose che sai essere sbagliate, ma che comunque poi finisci a fare.
Mi dispiace mangiare carne, ma ci ho provato a farne senza, e non ci sono riuscita. Vorrei resistere e non comprare abiti in grandi catene a basso costo, che chissà come e dove vengono prodotti, ma poi finisco a fare shopping sempre lì.
Gli animali in cattività mi fanno orrore, ma agli acquari e agli zoo alla fine non dico mai di no. Una volta io e Patapà siamo andati anche a vedere quello di Parigi e i Patasgnaffi ancora non c'erano. A nostra discolpa cercamo l'orto botanico, perchè le piante in cattività mi creano meno sensi di colpa.
L'acquario di Genova è una meta fissa delle nostre estati e quello di Lisbona ci ha preso il cuore. Lo zoo di Amsterdam è stato divertente, c'era anche un carretto con cui tirare in giro Patasgnaffa ancora piccola.
Vicino a casa abbiamo uno zoo safari ed eravamo riusciti a starne lontani per molti anni, l'ultima volta Patasgnaffa era solo una bebè e Patagnoma neanche una remota idea.
Ma ieri c'era un vento caldo che agitava i rami nudi degli alberi, un sole che ti faceva strizzare gli occhi, e le due fanciulle di casa forse meritavano di poter ricordare anche loro di aver visto un leone
E allora l'abbiamo rifatto, siamo andati a guardare gli animali, con la meraviglia che ci accompagna sempre, e quel retrogusto amaro di star assistendo a qualcosa di non proprio giusto.
Anche se devo dire che allo Zoo Safari di Varallo Pombia gli animali hanno un certo spazio, certo non paragonabile a quello che avrebbero in libertà, che sembra anche ben curato. Mi fa sempre impressione vedere bestie africane a queste latitudini e penso sempre che moriranno da un momento all'altro di freddo. Mi fa quasi più impressione che pensarle nel recinto.
Comunque gli sguardi felici e stupiti dei bambini mi fanno saltare sempre l'ostacolo, e  che cavolo, i grandi animali visti da vicino sono sempre belli.


Le giraffe che allungano davvero il collo per raggiungere i rami più alti, gli ippopotami che dormono affiancati mentre due uccellini gli becchettano intorno come nelle illustrazioni dei libri. I leoni che scaldano la chioma al sole mentre le mamme guardano due cuccioli arrotolarsi insieme sul prato.
La tigre che se ne sta su una roccia maestosa a scrutare l'orizzonte, ma che all'arrivo del trenino decide che forse se ne andrà a farsi un giretto. E per questo punta decisa verso la nostra macchina, facendo finire una Patagnoma sotto il sedile per la paura.


E' che a noi nel recinto delle tigri piace sempre avere un po' di paura, quando Patasgurzo era piccolo abbiamo anche provato il brivido di avventurarcici dentro con un' incerta quantità di benzina. La prima regola dello zoo è controllare di avere benzina sufficiente, ma noi siamo anarchici...e pirloni.
Comunque, per la cronaca, ce l'abbiamo fatta ad uscire anche quella volta, senza che un ranger dovesse calare da una delle torrette di guardia per prenderci a sberlone.


Alla fine del giro in macchina siamo andati a vedere i dinosauri, strano erano finti, che hanno terrorizzato Patagnoma più della tigre e abbiamo passeggiato fino a raggiungere il villaggio del far west, tutto chiuso e silenzioso come un vero villaggio fantasma. Anche il vento che arrotolava la polvere faceva pensare a Mezzogiorno di Fuoco. Le bambine hanno fatto un giro sui pony ed è stato davvero difficile portarle via. Potrei comprare una zebra e tenerla in giardino. La dimensione è più o meno quella dei Pony ma graficamente sono più accattivanti...


Ci sono anche un piccolo acquario e un rettilario, ma lì si che gli animali sono costretti e infelici, troppa tristezza, non ce l'abbiamo fatta a guardare.


Non ce l'abbiamo fatta anche ad affrontare il luna park in fondo allo zoo, ma quello si chiama spirito di sopravvivenza!
Alla fine del giro, nonostante abbia apprezzato molto le zebre, so cosa vorrei per il mio compleanno...



mercoledì 7 gennaio 2015

CON LENTEZZA SURREALE

E' un periodo che mi muovo con lentezza, e le vacanze direi che hanno aiutato.


Giorni pigri in cui anche le voci più squillanti scendevano di tono, giorni in cui negli angoli trovavi un po' di magia, giorni spesi per lo più in casa, ma che ci hanno anche portato in cima alla montagna.


Fosse per me vestirei una morbida pelliccia bianca, farei scorte di biscotti e dormirei fino a primavera. Anche se il freddo non è pungente, anche se le idee sono sempre in movimento, anche se il cielo è di zucchero filato io a Gennaio dormirei sempre.


Il sole taglia bassa la polvere che facciamo finta sia di fata e va bene così, e io faccio i conti con la mia assenza, che più si prolunga più si appesantisce anche di colpa. Ma forse va bene anche così, forse va bene un letargo par-time, forse inseguo una matassa ingarbugliata di pensieri, di cui ne voi ne io troviamo la matassa, ma con lentezza i pensieri si srotoleranno, leveranno la pelliccia e correranno su un prato verde.


Che ogni tanto forse anche un post surreale ci sta, in un cielo con pecore a nuvola, che non si capisce mica, ma neanche stanca.
Forse e con lentezza, ma io vi penso anche quando non ci sono, sarà buffo, ma è così.


Buon anno!